SNAMI e CIMO a Bologna scrivono per la modifica del modello di doppia funzione contemporanea dei medici dell’emergenza.

All’ Azienda USL di Bologna
All’ Assessore alla Sanità
Città Metropolitana di Bologna
Ai Sindaci della Provincia di Bologna
All’ Ordine dei Medici di Bologna
Al Collegio IPASVI di Bologna
p.c.
Agli Iscritti

 

Gentilissimi

È recente notizia di stampa l’accadimento di un “evento sentinella” occorso in un pronto soccorso della Provincia di Bologna, ove, da quanto ci viene segnalato, in una mattinata particolarmente intensa per i mezzi di soccorso è stato scambiato un farmaco, fortunatamente senza conseguenze letali per il paziente.

Gli scriventi sono con la presente a invitare tutti i soggetti deputati a tutelare la salute dei cittadini a intervenire prontamente su quella che riteniamo una grossa concausa facilitante errori clinici e comportante significativi disagi per utenti e cittadini che afferiscono ai pronti soccorso provinciali.

L’ Azienda USL di Bologna (ma anche quella di Imola e altre aziende in regione) hanno messo in essere da diversi anni modelli organizzativi dell’emergenza urgenza nei quali parte del personale del personale operante in pronto soccorso è contemporaneamente in servizio nel sistema di emergenza territoriale 118.

Accade pertanto che, citando tra i tanti esempi possibili, quello di Bazzano (ma anche Loiano, San Giovanni, Bentivoglio, Budrio), risultino sulla carta due medici e due o più infermieri in turno in pronto soccorso, ma nei fatti buona parte dell’organico in turno non può garantire la costante fisica presenza nella sede di pronto soccorso per assolvere interventi in territorio.

Questa organizzazione crea una sorta di “cosmesi” dei dati relativi al personale in servizio in PS, causando parallelamente problemi clinico assistenziali ribaltati su operatori e cittadini, che di seguito tentiamo brevemente di riassumere:

  • medico e infermiere adibiti contemporaneamente anche al 118 dovrebbero teoricamente avere in carico solo casi di bassa complessità, elemento spesso constatabile solo a posteriori dopo visita e diagnostica. Tale teorico auspicio è spesso nei fatti non possibile per la presenza contemporanea di più pazienti complessi classificati come codici gialli e rossi che non possono essere lasciati in attesa.
  • Alla chiamata del 118 l’equipaggio ha massimo due soli minuti nei quali, oltre a capire dove dover intervenire, deve passare le consegne dei pazienti in carico. Tale scarsissimo tempo non consente spesso di trasferire in modo accurato, prudente e diligente consegne ai rimanenti colleghi che dovranno farsi carico dell’assistenza nella struttura ospedaliera
  • Questi ultimi si vedono di colpo ribaltata addosso la responsabilità di altri assistiti con problemi acuti che non hanno visitato o gestito, e conseguentemente devono spesso interrompere quanto stanno facendo per prendere visione dei pazienti lasciati dall’equipaggio uscente. Tale fenomeno comporta ovviamente una perdita di tempo per capire chi e quali problemi si hanno in carico, con ovvia sottrazione di risorse alla sala di attesa e ai cittadini già in gestione.

Riteniamo questo modello organizzativo vada abbandonato come già avvenuto in altre realtà.

Riteniamo necessario avviare un processo di riorganizzazione dei sistemi di emergenza che tengano chiaramente separati i momenti territoriali da quelli ospedalieri di pronto soccorso. Questo al fine di garantire una miglior presenza e attenzione ai cittadini in entrambe le fasi evitando da un lato che si creino situazioni di sovraccarico con operatori che debbono sopperire alle assenze, e dall’altro con operatori costretti a vivere in costante stress e tensione per quanto potrebbe accadere ai pazienti in carico che si abbandonati gioco forza in pronto soccorso, interrompendo il diretto rapporto di cura.

Una riflessione banale: cosa accadrebbe in corso di una maxi-emergenza ove molti pazienti siano da soccorrere in territorio e ospedalizzare rapidamente? come risponderebbe questo modello che proprio nella fase più critica di fatto vedrebbe dimezzato il personale di pronto soccorso in servizio, deputato alla ricezione delle vittime in una prima fase proprio perché parte di questo risulterebbe contemporaneamente impiegato nel soccorso esterno al presidio?

Come da copione: “le nozze con i fichi secchi”, sempre sulle spalle degli operatori chiamati a svolgere piu’ ruoli contemporanei. I codici deontologici dei vari profili professionali, spesso risultano in palese contraddizione con quanto tale modello organizzativo di fatto impone e per tal motivo, si rende necessaria un’attenta riflessione che marginalizzi il mero aspetto economicistico che a nostro giudizio è stato uno dei probabili maggiori determinanti dello sviluppo di tali modelli, abbandonati in altre province, quali per esempio l’adiacente Ferrara.

Rimanendo a disposizione per ogni ulteriore approfondimento, auspichiamo la più attenta e solerte attenzione alla problematica segnalata

 

CIMO
Salvatore Lumia
SNAMI Bologna
Roberto Pieralli / Anna Esquilini